Un monumento ai combattenti


Nel 1977 è stato dedicato ai 3182 partigiani emiliani che andarono all'estero, di cui 612 caduti, e ai 1401 stranieri che combatterono nella nostra regione, 134 dei quali morirono.

Una fra le città più ricche di medaglie d'oro al valor militare per il contributo dato alla guerra di liberazione è proprio Reggio Emilia. Al "teimp ed guéra" in tutta la nostra provincia fu fervida l'attività del movimento partigiano, come dimostrano fra l'altro gli avvenimenti accaduti a Civago.
I primi scontri armati nella nostra montagna risalgono all'autunno del 1943, anche se ancora non si trattava di una vera e propria guerriglia partigiana.
La prima formazione si ebbe nel novembre dello stesso anno: il sergente Giovanni Rossi si mise alla guida di una piccola pattuglia proveniente da Sassuolo con l'intento di "insidiare la sicurezza dei soldati fascisti e tedeschi sguinzagliati per la montagna e di portare scompiglio e paura tra i civili che continuavano a sostenere i nazifascismi, traendone vantaggi materiali dalla loro presenza" (P. Alberghi).
Questa formazione giunse a Civago ai primi di febbraio 1944 e trascorsi solamente alcuni giorni, subì la perdita dell'ufficiale salernitano Ugo Stanzione, considerato uno dei più valorosi partigiani saliti in Appenni-no. Pochi giorni dopo la medesima formazione, consolidate le sue file con l'apporto di militari alleati, abbandonò la valle del Dolo per dirigersi verso il territorio modenese.
Stanzione perì durante uno scontro a fuoco con Alberto Fini, un avventuriero intrufolatosi fra i partigiani per compiere vendette personali e per appropriarsi di quanto gli capitava sotto mano.
Vari furono i rastrellamenti, le devastazioni, le razzie e gli incendi che Civago dovette subire nei successivi mesi, specie nel corso del 1944 (marzo e agosto): vi furono alcuni morti e feriti tra i civili, nonché una ventina di abitazioni distrutte e più di trenta danneggiate.
I partigiani trovarono ricovero a Case Cattalini, dove il dottor De Toffoli, con la collaborazione di un'infermiera ebrea proveniente dal territorio jugoslavo, dirigeva un assai ben organizzato "ospedale partigiano" che offriva le prime cure ai feriti, sia italiani che di altre nazionalità (tuttora è presente proprio sul muro esterno dell'edificio una lapide posta nel novembre 1984 in memoria del tenente Stanzione).

Una via di fuga verso l'Italia libera

Ma è nell'autunno del 1944 che Civago, più precisamente la borgata di Case Gian Marco, divenne la principale base di partenza per partigiani, civili, perseguitati e ammalati, che dovevano trasferirsi nei territori liberati.
Questo ruolo di passaggio, venne svolto per circa sei-sette mesi e si ritiene che abbiano passato il fronte ben 15 mila persone. Un regolamento del 3 marzo 1945 organizzava infatti un corpo guide e in nove punti ben precisi stabiliva gli obblighi, i compiti e il compenso delle quattordici guide. Ciascuna di esse conduceva solitamente un gruppo di tredici persone, ricevendo un compenso di lOmila lire, corrisposto, quando era possibile, dalle persone accompagnate. Il regolamento stesso pun-tualizzava che il pagamento poteva anche essere effettuato dai comandi partigiani, che, in alternativa al denaro, a volte fornivano alle guide stoffe ricavate dal paracadute o buoni di pagamento con termine dilazionato.
A seconda delle notizie provenienti dal fronte (la "linea gotica") si percorrevano itinerari diversi; la partenza avveniva generalmente nelle prime ore del pomeriggio, si camminava in assoluto silenzio per tutta la notte, evitando le sentinelle tedesche, e si arrivava a Barga, nella zona controllata dalle truppe alleate, alle prime luci dell'alba del giorno successivo.

Un'opera per ricordare quanto accaduto

Con l'arrivo del 25 aprile 1945 si chiuse finalmente questa pagina drammatica della nostra storia. In tutto il nostro paese si è sempre cercato di non dimenticare il sacrificio di partigiani e antifascisti. A questo scopo nel dopoguerra sono stati eretti innumerevoli monumenti che sono presenti anche nel nostro Appennino.
Quello che sorge a Civa-go è probabilmente uno fra i meno conosciuti, non solo per l'allocazione ad "alta quota", ma anche perché non si tratta di un generico monumento dedicato ai parti-giani, bensì è espressamente dedicato, come peraltro è inciso sulla sommità del monumento stesso, "ai Partigiani stranieri in Emilia Romagna - ai Partigiani di Emilia e Romagna all'estero".
I promotori, nonché primi finanziatori di questa opera, furono gli ex partigiani Ermante Rossi e Maggio Calidori (entrambi comandanti, operarono rispettivamente nella zona del passo delle Radici il primo e di Montefìorino il secondo; il Rossi fece pure parte della Special force inglese). Nacque così il Comitato promotore per il monumento di Civago, al quale aderirono ben presto associazioni par-tigiane, singoli partigiani della "Stella rossa", enti locali, partiti e altre organizzazioni democratiche.
Si tratta di un monumento di notevoli dimensioni che sorge a nord dell'abitato di Civago e più precisamente in una tra le borgate poste più in alto rispetto al paese: Case Cattalini (allora Case Gian Cattalini, altezza 1142 mt. s.l.m.), punto di partenza della strada per raggiungere i rifugi Segheria e Battisti.
Tale borgata a quel tempo contava 11 famiglie con una popolazione complessiva di circa 50 persone e ospitava, come già accennato, "l'ospedale partigiano": è questa la ragione principale che fece scegliere la borgata per erigere il monumento.
Esso è collocato in uno slargo che prende il nome di piazza Gregori Konovalenko, essendo dedicato alla memoria di un partigiano sovietico caduto nella battaglia del 2 agosto 1944 al passo delle Forbici.
Quest'opera, che richiama un importante aspetto della memoria storica, è trattata in un volume, ai più sconosciuto, che in copertina riporta le stesse parole impresse sulla sommità del monumento: "Ai partigiani stranieri in Emilia - ai Partigiani emiliani all'estero", un volume edito nel 1977 a cura di vari comitati per la Resistenza e della Regione Emilia Romagna; venne pubblicato nello stesso anno dell'inaugurazione del monumento, avvenuta il 3 luglio 1977. In quell'occasione, oltre alla partecipazione degli amministratori locali (il sindaco di Villaminozzo era Ave Campolunghi), vi fu anche quella dell'Accademia militare di Modena e di numerose persone accomunate dalle vicende del 1943 - 1945. Vennero in quel giorno premiate tutte le donne di Civago che parteciparono alla Liberazione e, nel prato antistante, il parroco don Giuseppe Gobetti (tuttora parroco di Civago - Cervarolo -Gazzano) celebrò una messa a suffragio di quanti caddero per la libertà. A ricordo della giornata fu emesso uno speciale annullo filatelico.

L'enorme cubo visto da vicino

Questo maestoso monumento è una composizione armonica di architettura, scultura e pittura. Il progetto fu curato dall'architetto bolognese Roberto Viola che, incaricato dall'amico Ermante Rossi, si prese particolarmente a cuore la realizzazione dell'opera. Pensò di simboleggiare il nazifascismo come un grosso cubo indinato (in cemento armato vuoto all'interno, delle dimensioni di m. 4 x 5 x 6,5 di altezza circa) che, in procinto di cadere, sta per travolgere e uccidere l'intera umanità, posta alla base e rappresentata da una donna seminuda distesa, scolpita in marmo bianco. Nella ricostruzione artistica, si oppone a questo movimento distruttivo il partigiano che sul lato del cubo inclinato sferra un forte pugno alla svastica, simbolo del nazismo, spezzandola.
Al visitatore che si affaccia all'interno del monumento, appare evidente e netto l'effetto chiaroscuro generato dalla luce che illumina la parte interna, proveniente in prevalenza dall'apertura anteriore. Questa marcata contrapposizione di luminosità e di ombre, sottolinea ancora di più il contrasto guerra e pace.
La parte scultorea fu affidata all'artista milanese Alessandro Caloi, il quale ha tratto il "suo partigiano" da un blocco di marmo bianco delle dimensioni di 2,7 x 1,6 x 1,8 m. per un peso totale di 240 quintali. Come ebbe a dichiarare in una intervista "ha voluto rappresentare tutta la possente virilità e la forza interiore dell'uomo nella Resistenza, che fa uso di questi mezzi per fermare e vincere la brutalità della guerra", mentre, per quanto riguarda l'altorilievo femminile, "ha voluto rappresentare la partecipazione dell'intera umanità al dolore e all'orrore della guerra stessa".
Nella parte interna sono collocati due grandi dipinti eseguiti dai pittori De Con-ciliis e Falciano del Centro di arte pubblica popolare di Piano (Roma). Risulta naturale supporre che l'argomento sia sempre il medesimo. Il primo pannello, posto sulla destra dell'ingresso situato sul retro, fu dipinto da Ettore De Conciliis, dedicandolo alla lotta per la libertà. Raffigura una fitta boscaglia dalla quale si intravedono due distinte scene: sul lato sinistro si staglia un uomo con il capo chino, segno di sofferenza e sacrificio, mentre sul lato destro, si scorgono due soldati che cercano di avanzare in un ginepraio di rami, il quale simboleggia in senso metaforico le infinite insidie della guerra.
Il secondo dipinto, collocato di fronte al precedente è opera del pittore Rocco Falciano, ed è dedicato alla Liberazione (libertà e democrazia): si vedono giovani combattenti che sventolano bandiere in segno di vittoria, nonché una figura femminile che, in primo piano, emerge fra ramoscelli fioriti.

I caduti

Ed è proprio al centro fra i due dipinti, che troviamo sintetizzato in cifre il vero significato di questo monumento: una lapide in pietra recante, nazione per nazione, i numeri di quanti in Italia o all'estero, si batterono durante il secondo conflitto mondiale e caddero per la libertà.
È soprattutto a questi combattenti, alla luce delle vicende storiche accennate poco sopra, che l'opera vuole rendere omaggio: ai 3182 partigiani emiliani che andarono all'estero, di cui 612 caduti, e ai 1401 stranieri che combatterono nella nostra regione, 134 dei quali morirono.

Nota bibliografica

Le pietre dolenti. Dopo la Resistenza: i monumenti civili, il pantheon delle memorie a Reggio Emilia, RS libri, Reggio Em. 2000;
Itinerari della Resistenza, Tipolitografia emiliana, Reggio Em.;
P. Alberghi, Cervarolo 20 marzo 1944, Modena 1974;
G. Franzini, Cronologia dei fatti militari e politici più importanti e significativi della guerra di liberazione nel Reggiano, Tecnostampa, Reggio Em. 1978.

Desidero ringraziare la fam. Rossi per la disponibilità e per l'archivio fotografico messo a disposizione.

di Alessandro Gaspari (fonte Reggiostoria n. 109 – 2005)