3 - Le tradizioni popolari

LE TRADIZIONI POPOLARI

IL MATRIMONIO DI UNA VOLTA

II matrimonio è sempre stato considerato, specie per la tradizione montanara, un avvenimento di grande rilievo non solo per coloro che dovevano pronunciare il fatidico "sì", ma pure per parenti ed amici che partecipavano con estremo entusiasmo e calore a questo evento. Molto spesso il giorno delle nozze lo si passava all'interno dei confini domestici, con i parenti più prossimi e con un certo numero di usanze e rituali che, a grandi linee, sono state sempre presenti nelle varie realtà dei paesi della nostra montagna e che stanno ora diventando tradizioni sempre più sconosciute. Volgiamo ora uno sguardo al passato per vedere come si svolgeva il matrimonio a quei tempi e come le usanze erano diverse da oggi.
Innanzi tutto i promessi sposi s'incontravano solitamente la sera dopo cena davanti a casa o nelle stalle, ma comunque sempre vicino a genitori, parenti e conoscenti. Solamente la domenica ci si poteva vedere liberamente (se di libertà si può parlare) nella piazza del paese, prima o dopo la messa. Se un ragazzo ed una ragazza "si parlavano" stava significando che tra di loro vi erano serie intenzioni. Il fidanzamento, come dimostrava il famoso detto: "SEMPR MURUSA E MAI MUJERA" (sempre morosa e mai moglie), poteva superare benissimo i 10 anni.

Dote e  "Flipa"

Quando si riteneva che i due fidanzati fossero preparati per intraprendere la vita matrimoniale il padre, od entrambi i genitori dello sposo, si recavano a casa della futura nuora per chiederne ufficialmente la mano.
Spesso in quell'occasione, oltre a fissare la data del matrimonio, si parlava anche dei vari compiti delle due famiglie o dei novelli sposi, come ad esempio la preparazione del corredo.
La sposa portava, infatti, solitamente in dote un misero corredo - confezionato da lei personalmente sotto le direttive della madre - che in genere comprendeva due lenzuola, due federe e qualche asciugamano.

Lo sposo invece doveva iniziare a costruire da solo, al massimo seguendo i consigli del falegname del paese, il mobilio della camera, ossia il letto e un piccolo guardaroba dove riporre il corredo nuziale.
La sposa, durante i preparativi riguardanti il giorno delle nozze, era molto spesso aiutata dai consigli della "Flipa" (Filippa - termine di solo uso dialettale), cioè da quella donna che s'impegnava ad organizzare al meglio tale giornata occupandosi di vari compiti quali l'abito, la funzione in Chiesa e, soprattutto, la "Torta".
La "Flipa" aveva, inoltre, il compito di preparare la futura sposa alla vita coniugale spiegandole pure "quei particolari" che la mamma non si era mai assunta l'incombenza di insegnarle.
La sposa vestiva solitamente con un abito molto semplice, bianco solo dopo la seconda guerra mondiale e, talvolta, poteva indossare un velo in testa; l'abito dello sposo, il più delle volte, era scuro e molto spesso, conclusa la cerimonia, rimaneva per tutta la vita, l'unico abito elegante (il leggendario abito della "festa").

La ricerca della sposa e  "l'Imbuscada "

La mattina della cerimonia lo sposo andava a cercare la fidanzata a casa trovando inizialmente altre donne, che gli venivano presentate, ma che egli rifiutava elogiando la sua futura moglie che compariva dopo molto tempo; è usanza recente l'arrivo della sposa alla Chiesa accompagnata dal padre e seguita dagli invitati. Poiché il pranzo si consumava a casa della sposa, alla cerimonia molto spesso mancava la madre che si tratteneva nell'abitazione per curare i preparativi. La cerimonia era semplice:
Questo tradizionale scherzo dell'imboscata si può a volte ancora vedere nei matrimoni attuali.
Contenti, divertiti e con un po' di fame, fra gli "evviva" e gli spari di fucili da caccia, si proseguiva il tragitto verso la casa della sposa. Il pranzo, quel giorno, non era certamente "luculliano", tuttavia abbastanza ricco ed abbondante: primo, secondo, vino a volontà, e infine la torta nuziale generalmente di croccante.
Durante il pranzo, negli anni più recenti, c'era l'usanza di tagliare la cravatta allo sposo, per far sì che ogni invitato ne prendesse un pezzettino come ricordo della bella giornata trascorsa. Se tra gli invitati vi era qualcuno che in precedenza era stato sentimentalmente legato ad uno degli sposi si coglieva l'occasione per deriderlo con un altro tradizionale scherzo: l'"incalcinada".
L'"incalcinada" consisteva nel versare addosso a questa persona farina (di frumento) o cenere e, nel caso non ci si riuscisse, si mescolava la cenere (o la farina) con acqua, ottenendo così una specie di "calcina" che si tirava contro il muro dell'abitazione dell'interessato.
Dopo il pranzo vi era sempre qualche persona, tra gli invitati o al di fuori di essi, che si presentava con chitarra e violino o con la fisarmonica per rallegrare ancora di più il già esistente clima di festa suonando qualche pezzo e permettendo così a sposi ed invitati di fare qualche ballo in compagnia.
Nel tardo pomeriggio la sposa veniva accompagnata nella sua dimora coniugale (a casa dello sposo) da tutti i presenti e principalmente sostenuta da una figura, ormai scomparsa anch'essa: "E mnun" (letteralmente: "menone", ossia colui che mena, colui che conduce; nel nostro caso "e mnun" era colui che aveva il compito di portare la sposa a casa dello sposo).
Arrivati alla nuova abitazione, prima di essere ufficialmente accolta, veniva sottoposta ad un lungo, scherzoso interrogatorio, da parte della suocera, durante il quale, quest'ultima si avvaleva dell'aiuto del "Mnun".
Dopo quest'interrogatorio e dopo l'ingresso da parte della sposa nella nuova famiglia, ci si rimetteva nuovamente a tavola per la cena; dopodiché, prima di andarsene a letto, si continuava il clima di baldoria, ricominciando a ballare fino a mattina inoltrata.
La prima notte di nozze era un'altra occasione che gli amici avevano per far lavorare la fantasia e far tribolare gli sposi con altre burle che potevano andare dal sale cosparso sulle lenzuola, alla campanella attaccata alla rete del letto e, se uno degli sposi era vedovo, non poteva mancare la "chiucona" (cioccona, termine di solo uso dialettale). Questo scherzo consisteva nel raccogliersi degli amici sotto la finestra della camera da letto con strumenti improvvisati come campanacci, coperchi, scatole di latta, lamiere e bastoni per fare un "concerto", il più chiassoso possibile. Negli ultimi anni questo scherzo è stato mantenuto e generalizzato con recipienti di latta legati dietro le automobili.
Abbiamo finora parlato di come in altri tempi si svolgeva una giornata così importante come quella del matrimonio, tralasciando però due importanti argomenti: il viaggio di nozze ed il "regalo".
Come si potrà facilmente capire il viaggio di nozze a quei tempi non esisteva, si poteva al massimo considerare tale il tragitto che andava dalla casa della sposa a quella dello sposo. Per quanto, invece, riguarda il regalo, esso è un'usanza diffusasi soltanto dopo la seconda guerra mondiale. Prima, se venivano fatti doni, erano solamente regali in natura utilizzati proprio il giorno delle nozze; quali: uova, dolci o torte - rigorosamente fatte in casa - o, "se andava bene", una gallina.
Il "giorno più bello della vita" - come abbiamo visto - veniva trascorso dai nostri nonni con estrema semplicità ed allegria anche se a volte si potevano avere matrimoni celebrati di nascosto, di notte, in modo da evitare problemi quali la non accettazione del futuro genero o della futura nuora da parte dei rispettivi suoceri, o quando l'uomo avesse più fidanzate contemporaneamente e semmai una di esse incinta.
Questi ultimi matrimoni si avevano in numero minore rispetto a quelli precedentemente descritti, ma non erano cosi rari come potrebbe sembrare.
(da una "Ricerca" di Alessandro Gaspari)

IL DIALETTO NELLE FILASTROCCHE DI UN TEMPO

A tutte le età e in qualsiasi momento, ogni persona molto spesso ricorreva a qualche filastrocca per colorire maggiormente i propri discorsi, già ben marcati dall'uso quotidiano del dialetto.
Il dialetto rappresenta quel patrimonio culturale che dalla montagna alla bassa, in ogni paese con le sue inflessioni e le sue varianti locali, trova difficoltà nel sopravvivere. La causa è da ricercarsi anche nell'ingresso, sempre più sfrenato, di un lessico che risente non solo della presenza di vocaboli stranieri, ma anche di un gergo specifico e tecnologico. Ci troviamo così di fronte ad un valore che purtroppo va man mano scomparendo.
Tuttavia, oggigiorno, si possono ancora avere testimonianze dirette della realtà dialettale di una volta. Infatti, è sufficiente recarsi in un qualsiasi borgo del nostro appennino e scambiare qualche parola con persone non più tanto giovani. Queste ci intratterranno sicuramente molto volentieri e saranno liete di ripercorrere con la niente altri tempi e rievocare così vecchie novelle, filastrocche, proverbi, modi di dire, ecc.

Dalla polenta al divertimento

Questi riferimenti al dialetto sono stati desunti dalle testimonianze di persone anziane, anche se in alcune pubblicazioni possiamo trovare il testo con varianti. Queste filastrocche sono, nel contempo, figlie di tutti e di nessuno, poiché chiunque poteva conoscere canzonette, nenie e detti, ma nessuno ne era in realtà l'artefice: scaturivano dalle menti di persone povere e modeste. Il più delle volte avevano come oggetto la loro vita quotidiana, il loro mondo contadino, riconducendo all'immagine della cucina o, come direbbe Giovanni Verga, del "focolare domestico". La vita di queste umili persone era, infatti, scandita da faticose ore di lavoro nei campi, nell'aia, o semplicemente in casa, accompagnate da dialoghi in vero dialetto: né dialetto italianizzato, né italiano dialettizzato, ma un linguaggio "popolare" semplice ed essenziale utilizzato quotidianamente in qualsiasi momento o circostanza. Numerose erano le occasioni dalle quali trarre spunto.

Il pranzo abituale

La pulenta ad furmentùm,
a chi vecc l'agh farà bun,
a chi giòvn ai spaventa,
basta mo cun la pulenta!

(la polenta di frumentone, ai vecchi gli farà anche bene, a quei giovani li spaventa, adesso basta con la polenta!)

La polenta, pranzo più che consueto del quale i giovani erano ormai stanchi, al contrario dei vecchi che questa miseria avevano ormai accettato.

Il taglio dei capelli ai bambini

Sùca plada fa i turtee
pr'an in dar ai so fradee;
so fradee fan la sulàda
pr'an in dar a sùca plada.

(zucca pelata fa i tortelli per non darne ai suoi fratelli; i suoi fratelli fanno la solata - specialità culinaria montanara - per non darne a zucca pelata).

Questa filastrocca nata dapprima con lo scopo di intrattenere i fanciulli durante questa brigosa operazione, è divenuta poi una "canzonetta" recitata di frequente, anche in altri momenti.

Il singhiozzo dei bimbi

Sangiòt, sangiòt
la pègra l'è in té pòz
la pègra l'è in té prà
e sangiòt l'è pasàa!

(singhiozzo, singhiozzo, la pecora è nel pozzo, la pecora è nel prato, il singhiozzo è passato!)

Semplicemente pronunciata con il tentativo di distrarre i piccini e far passare quel singhiozzo così fastidioso, che non accennava a cessare in altro modo.

Il divertimento e la spensieratezza dei più giovani

A gh'era 'na volta
un top e un ricc
chi rampavi su pr'un gradic
e gradic e de a la volta
vot che t'la cunta n'atra volta?

(c'era una volta un topo e un riccio che si arrampicavano su per un "graticcio" - il graticcio era un rustico cancelletto fatto con rametti di salice per chiudere semplici recinzioni - il graticcio si è capovolto, vuoi che te la racconti un'altra volta? )

Questa filastrocca era rivolta in particolare a quei bimbi che non si stancavano mai di farsi raccontare qualche favola dagli adulti.

Dùnca dùnca
tri cunchin i  fan na  cunca
tre cùnch e'l  fan un  cùncun
chi l'va sòta   l'è 'l  più bùn!

(Dunque, dunque, tre conche piccole fanno una conca, tre conche fanno una grossa conca, chi va sotto è il più buono! ).

La manina mata
la picia cul cla cata,
la cata e so padrun
pim pum un bel sciafun!

(La manina matta picchia quello che trova, trova il suo padrone, pim pum un bel schiaffone!).

Lumache e astuzia

Le filastrocche non avevano l'obiettivo di trasportare i fanciulli nel mondo delle favole, ma semplicemente quello di distrarli qualche minuto mentre genitori e nonni erano occupati nelle loro attività.
Infatti,  molte cantilene avevano lo scopo di rallegrare i giovani, attirando la loro attenzione, ed è il caso degli  esempi appena riportati, con semplici giochi di rima, con semplici conte, o con varie forme di movimenti e di gestualità.

L'incontro con insetti o animali

Lumàga lumaghina,
la va pian la bestiulina,
la va pian pr'ans rumpr i'oss,
la so ca lagh'Iha adoss.
La dis che a'ndar pian,
a s'va fort e a s'va luntan.

(Lumaca lumachina, va piano la bestiolina, va piano per non rompersi le ossa, la sua casa ce l'ha addosso. Dice che ad andare piano, si va forte e si va lontano).

I compagni di gioco dei bambini erano di frequente le bestiole o gli insetti e, per questo, molto spesso si inventavano filastrocche per ricordare tali animali, come l'esempio soprariportato della chiocciola.

L'astuzia tra due persone

A divid da bun fradel,
a ti la cagna e a mi e purcel,
st'a paura ca t'ingana,
a mi e purcel e a ti la cagna.

(divido da buon fratello, a te la cagna e a me il maiale, se hai paura che io ti inganni, a me il maiale e a te la cagna).

Questo è l'esempio di come i destinatati delle filastrocche non fossero unicamente i bambini, ma a volte anche gli adulti: in questo caso una scherzosa dimostrazione di furberia e di malizia.
Quanto abbiamo citato rappresenta una infinitesima parte di quanto si potrebbe sentire nella realtà dei vari paesi montani e riportarle tutte per iscritto occorrerebbe uno spazio ben più ampio. E' auspicabile, tuttavia, che questo spazio, seppur piccolo, che si riferisce a quel parlare più colorito dell'italiano, possa essere servito a persone già mature per rivivere qualche attimo dell'adolescenza; analogamente per i giovani, come incitamento a coltivare la tradizione dialettale dei nostri paesi. Sarebbe veramente bello che tutti i giovani ritagliassero un angolo del loro bagaglio culturale, da dedicare alla civiltà del dialetto, contribuendo a tutte le iniziative che lo connotano e che lo mantengono vivo nel corso del tempo.
(da una Ricerca di Alessandro Gaspari)

LA BEFANA

II rituale della notte della Befana, nei paesi dell'Alta Val Dolo, era molto suggestivo e coinvolgente. In quella magica notte, infatti, un gruppo di persone si preparava a cantare e due di loro si mascheravano da Befana e da Befanotto. Tutti insieme, accompagnati dai suonatori, si recavano verso le case del paese per cantare, presso ciascuna di esse, un canto canzonatorio che prendeva di mira il comportamento e le abitudini dei padroni di casa.
Se le prestazioni dei "canterini" riscuotevano successo, il padron di casa li faceva entrare per offrir loro cibo e bevande. Subito dopo, seguita dalla famiglia che li aveva accolti, la squadra di bontemponi continuava a visitare le altre case dell'abitato.
A notte alta, la compagnia si riuniva nell'edificio più grande del paese per l'ultimo brindisi e per scoprire le persone che si nascondevano dietro le maschere dei due protagonisti della serata.

BUONDÌ

II primo giorno dell'anno durante la mattinata i bambini si recavano nelle case per augurare il "buon anno", i padroni di casa dopo aver ascoltato in silenzio, offrivano ai piccoli castagne, frutta e biscotti e qualche rara carameIla.

"Bundì e bun ann fadm e bun dal anch pre'stann
e fadml ben ch'a turn anch' l'ann'quen"
(Buon dì e buon anno fatemi un dono anche quest'anno, e fatemelo bene perché così tornerò anche l'anno che viene)

IL CARNEVALE  ( I "Mascr")

Ogni martedì grasso venivano preparate, in ciascuna abitazione, le frittelle di Carnevale allo scopo di offrirle a tutti coloro che, mascherati a dovere, si recavano presso le case ove eseguivano un ballo accompagnati dall'orchestra.
Il compito dei padroni di casa era quello di indovinare chi si nascondeva sotto le maschere senza indizio alcuno; una volta riusciti nell'intento avevano diritto a "smascherare" gli ospiti riconosciuti (in caso contrario essi uscivano dalla casa in silenzio).

IL BALLO DEI GOBBI

Da Novellano, paese della prima rappresentazione, nel 1937 il ballo dei gobbi si sposta nella stalla del prete di Cazzano e rimane tra le tradizioni di questo paese.
Nato come messinscena carnevalesca, consisteva in una danza accompagnata da una melodia tipica durante la quale quattro personaggi travestiti da vecchi, appesantiti da una vistosa gobba e muniti di bastone prendevano ad insultarsi sinché il diverbio degenerava in scontro fisico: calci nel sedere e bastonate sulla gobba di grande effetto. Momento particolare è quello in cui gli attori si scambiano il cappello:

la difficoltà, oltre a quella di mantenere il ritmo della musica, consiste nel cercare di riavere sulla testa, al termine della musica, il proprio copricapo; i "gobbi" sono assistiti in questo passaggio dal loro accompagnatore, il "MNU'N", il quale raccoglie i cappelli caduti.
Le rappresentazioni, seppur rare, rimangono costanti da allora.
A proposito del "Ballo dei gobbi", ci sentiamo di dover chiudere queste brevi note con un nostro commento. Siamo di fronte ad uno spettacolo particolarissimo dove l'originalità dell'azione dei protagonisti è tale da elevare a momenti di straordinario interesse questa singolare rappresentazione; dove, in conclusione, i valori del teatro popolare e della tradizione trovano, grazie alla scarna quanto essenziale recitazione degli attori, un punto di sintesi culturale di altissimo significato.

COCCINO

Tradizione legata al Lunedì di Pasqua e ancora viva e presente sino a qualche anno fa Bambini e adulti, i primi dopo la funzione religiosa nel piazzale della Chiesa, i secondi a casa o nelle osterie, con tre o quattro uova sode si sfidavano al "coccino"; ciascuno estraeva il suo uovo, debitamente colorato, che a turno batteva su quello dell'amico, il vincitore era colui che riusciva a rompere l'uovo di turno ed il premio era rappresentato
Dall'uovo scalfito. Una variante infantile al gioco era costituita, in alcuni paesi, dal "Ruzzlìn", ove lo scontro dei gusci non avveniva tra le mani, ma alla fine di una discesa erbosa dove le uova erano lasciate appunto ruzzolare.
La gara degli adulti iniziava con una conta, per decidere chi doveva cominciare, e chi avrebbe preso il primo uovo della fila disposta per terra, gli altri partecipanti attendevano il loro turno. Le uova venivano poi consumate in compagnia tra risate, canti e bicchieri di vino.