Origini ed epopea del Maggio

Quando il crinale ci univa alla Toscana
Già nel 1792 veniva definito “antica pratica del popolo”. Testi emiliani a partire dal 1850. Il ruolo della transumanza a dell’emigrazione stagionale.

di Romolo Fioroni

Il maggio, in area emiliana, si canta da tempo immemorabile. Certamente dall’inizio del XVIII secolo, se non da prima. Fanno fede i documenti che escono dagli archivi dei Comuni, ma soprattutto delle parrocchie e dei privati. Ricercati con passione e costanza dagli studiosi di questa forma di spettacolo o dagli storici che, setacciando le carte per determinate vicende, vi si imbattono per caso.

Al prof. Marco Piacentini, studioso, autore di un pregevole componimento moderno dal titolo Marzo 1944 e direttore del complesso di Frassinoro “La nuova compagnia del Maggio”, è stato fornito da un amico, il prof. Luciano Ruggi, uno di questi importanti documenti. Lo ha illustrato in un convegno che si è tenuto a Villa Minozzo nel 2000. Nel manoscritto, datato 7 maggio 1792, viene descritta la controversia tra il parroco di Vetriola, don Matteo Corti, e i parrocchiani sull’usanza del canto del Maggio. Il parroco accusa di “cialtroneria” una compagnia  di giovinastri che, ogni anno, forse per fargli dispetto, “intervengono pomposamente, in diverse fogge di commedianti ad ascoltare la messa”.
Don Giovanni Giuseppe Ruggi interviene, invece, in favore dei cantamaggio: “E’ sicuro fuossi cantato il maggio in Casola così detto Paris e Viena (...) che si canta per antica consuetudine ad oggetto di suffragare le anime del Purgatorio con le oblazioni. (...) Che il maggio si canta non per impulso del Parroco ma per antica pratica del popolo (...) che il Maggio di Paris e Vienna si è cantato in Casola nel 1790 e in detto anno si cantò anche nella piazza di Montefiorino e per quanto si è sentito dire si è cantato nella Piano de Lagotti, in Fontanaluccia e da altri luoghi senza che niuno siasi mai formalizzato (stupito) a riserva del Sacerdote Don Matteo Corti”.
Un altro importante segno della presenza viva dello spettacolo del Maggio nella montagna reggiana è riportato da un altro storico, il prof. Giuseppe Giovanelli. “Erano i primi giorni del mese di maggio dell’anno 1832 - scrive Giovanelli - quando un certo Domenico Bortolani si presentò al conte Antonio della Palude, podestà del Comune di Castelnovo ne’ Monti. Gli umiliava una supplica per conto di nove abitanti di Vallisnera i quali intendevano rappresentare un maggio nella loro villa e nelle ville limitrofe di Valbona, Collagna, Acquabona e Nismozza. Nulla di straordinario in tutto ciò. La consuetudine del maggio era profonda e radicata. Segnava il ritorno dei pastori dalle Maremme dove, nelle lunghe soste invernali, si dedicavano a imparare  forme e testi delle rappresentazioni sacre e popolari toscane per importarle nei loro paesi del crinale emiliano (o ‘lombardo’ come allora si diceva)”.
In quel tempo, la congiura contro il Duca di Modena, ordita da Ciro Menotti e terminata con la sua impiccagione dodici mesi addietro, aveva indotto il Buongoverno estense a misure di eccezionale rigore. Così, il podestà Antonio della Palude, per paura o per scrupolo, girò la supplica al direttore di polizia della città di Reggio e provincia. Non si conosce la risposta, che fu sen’altro negativa perché il testo del Maggio non fu restituito. E’ rimasto così sepolto per ben 155 anni tra le scartoffie d’un archivio di polizia, dal quale Giovanelli lo ha riportato alla luce nel 1987. Si tratta di uno dei testi più antichi ritrovati in provincia di Reggio Emilia, di origine certamente toscana. Ha un lungo titolo: Maggio sopra Carlo Magno Imperatore contro il Re Amansore di Barberia per cagione di Bradamante figlia del Imperatore, che la voleva il gran Turco. Tutto ciò conferma che il Maggio è arrivato in terra emiliana dalla vicina Toscana. Con la transumanza, ma anche con l’emigrazione stagionale - nella parte centrale della stagione invernale - per i lavori agricoli nella Lucchesia e nella Maremma. Ma anche per il commercio di bestiame, frumento, sale e generi vari che avveniva nel corso di tutto l’anno.
Michele Costi (1868-1942) detto “Rigun”,  di Costabona, abitualmente valicava l’Appennino portando a spalla, a mo’ di zaino, una cassettiera contenente chincaglieria: il suo negozietto ambulante, che esponeva di casa in casa. Diversi componimenti di Maggio - soprattutto quelli stampati dalla tipografia Sborgi di Volterra (Pisa) sono entrati nel Reggiano e nel Modenese sulle sue spalle. Qui venivano acquistati dai “campioni” delle diverse frazioni. Letti, modificati, ampliati a seconda delle esigenze dei complessi che si costituivano all’ombra di ogni campanile. Hanno spesso assunto la paternità del trascrittore che, dopo la parola fine, apponeva la sua firma. E’ capitato sovente di considerare autore di un determinato componimento chi lo aveva trascritto, firmato, diretto e accertare, in seguito, che proveniva dalla Toscana. E’ lecito, quindi, affermare che la produzione di testi, in area emiliana, non inizia prima della metà del XIX secolo.
Risale al 1808 uno dei testi più antichi dell’ormai ricca raccolta del vostro appassionato cronista. Ma è un componimento che, per struttura, argomento e numero di quartine, proviene sicuramente dal versante toscano. E’ stato ritrovato in un archivio privato del comune di Ramiseto da un amico, Alessandro Salsi. Manoscritto a inchiostro, le 82 stanze sono riportate su quattro fogli di 31x21 centimetri, cuciti con filo al centro, su due colonne. All’inizio, prima dei nove “interventori al Magio”, la scritta “Magio datto l’anno 1808”. Non ha titolo, ma il contenuto farebbe pensare a un Ruggero e Bradamante. Al termine, dopo la quartina n. 82, riservata al buffone, “Finis coronat opus”. Che nel presente Magio si rappresenta in ristretto l’incontro di Rinaldo e Orlando, la passione di Ruggiero per Bradamante, la giostra, lo sposalizio e la morte di Rodomonte”. Nel testo manoscritto, inoltre, ha un ruolo fondamentale (28 quartine) il buffone. Importanza del singolare personaggio - trascurata dagli autori emiliani - che si riscontra anche nel testo del 1832 ritrovato dal prof. Giovanelli nel 1987 (10 quartine). Nel primo, inoltre, figurano due ottave; una sola nel secondo.
Un terzo esempio conferma la tesi che i testi rappresentati prima del 1850 provengono dalla Toscana. Si tratta del Maggio Costantino imperatore, di 248 stanze, che anche la tipografia Sborgi pubblica nel 1886. Fu rappresentato per la prima volta a Costabona nell’estate del 1858. Sull’ultima pagina del manoscritto originale, infatti, dopo l’annotazione “sono stanze 274”, si legge “Villa Minozzo lì 29 agosto 1858 / visto: se ne permette la recita / pel Commissario / Giannotto cancelliere Far...”. Sul timbro: “Classe III - Comissariato P. / Minozzo”. Successivamente Stefano Fioroni, intorno al 1900, lo ritrascrisse per il suo complesso (quello di Costabona) modificandone profondamente forma e contenuto. Questa radicale trasformazione indusse il pubblico ad attribuirgliene la paternità.

(fonte www.tuttomontagna.it)